Gli autori italiani sono tutelati nella scrittura di uno scripted format o i diritti sono del produttore?
Fino a qualche anno fa in Italia, esistevano solo due editori di serie tv: Rai e Mediaset, un duopolio in cui non c’era una vera concorrenza, Canale 5 e Raiuno più o meno cercavano lo stesso tipo di contenuti. Ma quello che è peggio, non essendoci alternative per autori e produttori, i network si accaparravano tutta la catena dei diritti, compresi quelli secondari (sequel, prequel, remake, spin off). Poi con l’arrivo di Sky, prima, e delle piattaforme digitali, poi, il mercato si è allargato, ma purtroppo, quel peccato originale è rimasto, perché quando una prassi attecchisce si fa il doppio della fatica a destituirla. In pratica, gli editori tv hanno continuato la cessione di tutti i diritti ai produttori e di conseguenze gli autori non hanno avuto alcuna voce in capitolo. E questo ha avuto una pesante ricaduta sul prodotto perché la cessione di tutti i diritti delle proprie opere è un meccanismo perverso che lavora contro la creatività. Perché inventarsi un mondo narrativo potente quando a beneficiare del suo sfruttamento non sarai tu? Meglio lavorare tanto e peggio che investendo bene e a fondo su un’idea, in un mercato cos’.
Ora questa situazione sta leggermente cambiando, per fortuna, la nuova concorrenza fra piattaforme che si è creata nel mercato italiano offre agli autori un margine maggiore di contrattazione (perché se tu non ci stai posso sempre - teoricamente - andare a rivolgermi a un tuo concorrente). Per per ora quelli che hanno saputo spuntare condizioni migliori sono casi isolati, che riguardano pochi autori di spicco, che si contano sulle dita di una mano. Mi risulta che neanche chi ha scritto Gomorra, un successo mondiale rarissimo nel nostro panorama, abbia potuto beneficiare di una percentuale sulle sue vendite estere.
Puoi farci qualche esempio a parte Gomorra?
C’è il caso eclatante di Perfetti Sconosciuti di Paolo Genovese, un film successo con oltre 100milioni di box office nel mondo e il record di 18 remake realizzati internazionali. Ebbene, Genovese e i quattro co-autori dello script (Bologna, Costella, Mammini e Ravello) per quel mal costume industriale di cui sopra si sono visti “costretti” a cedere a monte tutti i diritti derivati senza così incassare nulla da questo incredibile successo del loro – come lo chiami tu – “scripted format”.
È un paradosso, perché la situazione attuale danneggia soprattutto l’industria stessa, in quanto peggiora il suo prodotto. E questo si rende possibile anche per un ambiguo quadro legislativo in cui operiamo: il nostro sistema giuridico teoricamente sancisce come inalienabile il diritto di un autore, ma dove la legge parla di pagamento proporzionato allo sfruttamento di un’opera audiovisiva, la legge stessa ammette che quell’articolo – il 46 - è derogabile, e in nome di quella deroga si firmano tutti i contratti. Ma un’industria culturale così strutturata non può generare vera creatività, ecco perché il prodotto italiano raramente crea nuovi mondi narrativi esportabili in altri mercati.
Noi come associazione di categoria stiamo facendo una battaglia per riunificare tutti gli autori dialogando con tutti per garantire un trattamento equo a tutta categoria, in modo da avere più forza contrattuale che garantisca un sistema più ‘fair’. E finalmente in nostro soccorso c’è la direttiva europea che sancisce una redistribuzione della ricchezza accumulata dallo sfruttamento delle opere.
Come vedi il mercato internazionale e quello italiano?
Nel mondo, ci sono tanti esempi illuminanti, come il caso di Israele, un piccolo mercato che ha saputo diventare in breve tempo una fucina di creatività, basti pensare a serie come In Treatment, Homeland, Feuda, Euphoria, sono storie che hanno viaggiato in tutto il mondo e che sono state adattate in altri Paesi. Noi invece, abbiamo avuto una bella occasione sei anni fa: con l’esplosione di Gomorra tutti si sono accorti di noi. Avevamo la possibilità di conquistare una posizione di punta in Europa, davanti a altri paesi come la Francia o la Germania, che hanno investimenti maggiori del nostro, ma dopo quel boom inatteso non siamo riusciti a costruire un mercato veramente competitivo a causa dei meccanismi che di sistema che ho citato sopra.
Senza un filone di creatività originale, di idee forti e inedite, abbiamo ripiegato sull’adattamento di prodotti già di successo altrove, di brand già esistenti, pensiamo ai casi letterari come L’Amica Geniale, una serie che nasce sul successo editoriale straordinario di Elena Ferrante – o a quegli autori prestati alla tv dal cinema come Paolo Sorrentino o Luca Guadagnino. Forse una delle poche serie che si è davvero distinta per il suo taglio originale è stata La Linea Verticale (prodotta da WIldside) trasmessa da Rai3 e scritta dal compianto Mattia Torre. Mattia aveva una voce unica, autentica e personale, che non necessitava di un IP, una intellectual property da sfruttare, per avere successo: ma solo di cura, sincerità, ironia e talento. Tutte cose che troppo spesso ancora mancano nei nostri prodotti.
100autori è in Italia la più rappresentativa fra le associazioni autoriali del settore audiovisivo. Ne fanno parte registi e sceneggiatori cinematografici e televisivi, autori di documentario, film d’animazione e autori legati al mondo dei new media. Un’associazione autorevole non solo per il numero, ma per il prestigio culturale e professionale degli iscritti. 100autori è membro della FERA (Federation Européenne des Realisateurs Audiovisuelle) con sede a Bruxelles, attraverso la quale gestisce i rapporti con le commissioni del parlamento europeo. Sul piano istituzionale 100autori stipula intese e partnership con le associazioni dei produttori, Anica e Apa, e collabora e dialoga con il Mibact, il Centro Sperimentale di Cinematografia, il Miur, la Farnesina.